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Intervista

31 luglio 1996
Intervista a Beppe Severgnini
di Paolo Avanti.

DOMANDA: Lei scrisse della Gran Bretagna che tutti i luoghi comuni che si avevano di quel paese erano clamorosamente veri. Accade lo stesso degli Stati Uniti?
SEVERGNINI: No, per gli Stati Uniti è molto diverso. Le opinioni degli italiani sugli Stati Uniti sono spesso sbagliate perché sono il frutto di quello che io chiamo un riflettore puntato sugli occhi, ovvero di tutte quelle notizie che vanno dalle fantasie su Hillary Clinton a Michael Jackson e cose di questo genere che non aiutano a capire l'America ma aiutano a confondersi le idee. L'America è un posto interessante e affascinante NONOSTANTE Michael Jackson. Molti luoghi comuni sugli americani, inoltre, sono sbagliati, per esempio quello per cui gli americani sarebbero degli ingenui, dei sempliciotti. Trovo che non lo siano per niente. Sono il popolo meno ingenuo che esista al mondo. Non sarebbero i padroni del pianeta, altrimenti. Negli affari, per esempio, sono bravissimi perché sono così poco ingenui che quando vedono che conviene fanno apposta la figura degli ingenui e lo fanno benissimo. Il luogo comune è clamorosamente sbagliato.

D.: Gran Bretagna e Stati Uniti: quanto sono diversi e cos'è invece rimasto della matrice comune anglosassone?
SEVERGNINI: Il libro è essenzialmente la riposta a questa domanda. Il libro gioca su una triangolazione: io sono italiano, ho vissuto a lungo in Inghilterra e scrivo per un giornale inglese che è l'Economist e ho vissuto in America. Direi che Gran Bretagna e Stati uniti sono molto diversi. C'è soltanto un elemento in comune che dipende dall'origine tedesca (gli americani di origine tedesca sono i più numerosi negli U.S.A.) o comunque nord europea che è il pragmatismo, evidentissimo per chi conosce quei paesi ed a volte anche un po'sconcertante.

D.: Dalla vita comune dell'americano medio cosa importerebbe in Italia e cosa invece l'ha profondamente disgustato o sconvolto?
SEVERGNINI: Importerei il patriottismo, quello buono, non quello gratuitamente aggressivo ma l'amore per il proprio Paese. Importerei il senso della responsabilità individuale, l'ottimismo personale ed imprenditoriale, il mercato e la concorrenza, quest'ultima una cosa che noi ignoriamo completamente. Si pensi al mio ambiente di lavoro, il giornalismo, dove il mercato è totalmente assente per una serie di motivi non tutti nobili. Tutte queste cose sono quelle che generalmente gli italiani non importano. Invece importiamo tutte le scemenze, l'abito, la droga ultimo modello, il filmaccio ultra violento, tutte cose che dopo sei mesi arrivano in Italia e hanno subito un grosso successo.

D.: Riotta ha scritto che se lei avesse concentrato l'attenzione anche sull'America dei poveri sarebbe diventato il nuovo Guareschi. Accontenterà Riotta?
SEVERGNINI: Riotta è stato molto gentile perché, anche con il condizionale, è un paragone pesante ma estremamente lusinghiero, che francamente non credo di meritare. E'vero, io mi sono occupato della borghesia americana, dell'enorme classe media, che vuol dire il 90% dell'America, perché ero convinto che quel 90% avesse avuto un'attenzione tutto sommato inferiore al restante 10%, ovvero l'America estrema. L'America violenta, l'America disperata dei ghetti urbani ha avuto una copertura giornalistica e pubblicistica notevolissima. L'America quotidiana non l'aveva. Io ho fatto anche un'operazione di mercato. Credevo che descrivere quell'America del tutto normale potesse interessare. Oltretutto sono rimasto negli Stati Uniti poco più di un anno e quindi dovevo limitare il mio bersaglio. Gianni (Riotta) che vive là avrebbe invece tutti i mezzi per scrivere un libro sull'altra America se volesse. Ci proverò, in futuro, a scrivere degli ultimi. E'vero, è un critica che accetto. Però è anche vero che tutto non si può fare.

D.: C'è chi dice che l'America è molto meno condizionata di quanto noi pensiamo dai suoi Presidenti e sopravvive senza troppi sconvolgimenti alle vicende della Casa Bianca. Condivide?
SEVERGNINI: Condivido. I Presidenti americani sono sempre presidenti di centro. Clinton era un new democrat ma poi si è spostato a destra. Il successo di Clinton, in buona sostanza, è che ha copiato le idee della destra. Dole è un repubblicano di centro. L'America tende a escludere gli estremi e gli americani sanno che, tutto sommato, la loro vita non cambierà drammaticamente con un presidente o con un altro. I veri grandi cambiamenti i Presidenti li hanno fatti fuori degli Stati Uniti. Reagan, ad esempio, ha avuto un impatto grandissimo per il suo atteggiamento verso l'Unione Sovietica che poi ha condizionato tutti noi e poi l'America. Ma l'americano che vive nell'Iowa o nella Carolina del Sud sa perfettamente che esistono alcuni accordi non scritti tra il Presidente, chiunque sia, e il popolo americano per cui certe cose non si toccano.

D.: Esiste un'America clintoniana e quali sono le sue caratteristiche?
SEVERGNINI: Esiste. Io sono uno di quelli che non aveva una grande considerazione di Clinton. Vivendo a Washington, respirando politica conoscendo gente che ha lavorato con lui strettamente e anche vedendolo personalmente mi sono convinto che è un uomo di una grandissima capacità, mediatore abilissimo, e che liquidarlo come un uomo senza scrupoli e senza principii è un po'infantile. Clinton, come l'America, è un po'deceiving, inganna. Trae in inganno la sua apparente semplicità ma non è per niente un personaggio semplice.

D.: Domanda da un milione di dollari: vincerà Dole o Clinton?
SEVERGNINI: Direi Clinton. Un Presidente per essere bocciato dopo il primo mandato deve combinarne veramente di grosse o essere molto sfortunato. Jimmy Carter ebbe tutte e due queste caratteristiche. Fece molti errori e fu sfortunato perché a ridosso delle elezioni ci fu la vicenda degli ostaggi in Iran.

D.: Il Whitewater non potrà condizionare il voto degli americani?
SEVERGNINI: L'Arkansas assomiglia a certe parti dell'Italia dove tra politica e affari l'establishment locale forma un sottobosco unico. Non ho dubbi che in Arkansas succedessero cose non del tutto limpide. Però che in uno degli ultimi Stati degli U.S.A. fosse accaduto qualcosa non del tutto chiaro non può far cadere un presidente. Gli americani hanno capito che esiste una differenza di fondo tra il Whitewater e il Watergate e in vent'anni si sono fatti molto più cinici. Credo dunque che Clinton non ne sarà danneggiato.


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